Ipovisione e Riabilitazione https://www.ipovisione-riabilitazione.com Ipovisione, terapie maculari e riabilitazione visiva Thu, 18 Feb 2016 16:07:29 +0000 it-IT hourly 1 Terapia cellulare e rigenerazione retinica https://www.ipovisione-riabilitazione.com/terapia-cellulare-e-rigenerazione-retinica/ https://www.ipovisione-riabilitazione.com/terapia-cellulare-e-rigenerazione-retinica/#comments Fri, 24 Jan 2014 10:01:28 +0000 admin https://www.ipovisione-riabilitazione.com/?p=10032 Continue reading ]]> Una nuova frontiera terapeutica?
Informazioni tecniche

La macula (lutea) è la parte più centrale della retina e quella più importante, in quanto più ricca di cellule fotorecettrici. Su questa zona si focalizzano le immagini e vengono trasformate in impulsi neuroelettrici. Tali cellule inviano poi le informazioni ricevute alla corteccia occipitale attraverso le cellule bipolari e le fibre nervose prodotte dalle cellule gangliari.
L’80% delle patologie degenerative è dovuto a fenomeni atrofici a carico delle strutture cellulari sopra ricordate.
La più frequente tra le cause di atrofia retinica è la degenerazione maculare secca che consiste in una graduale, lenta, atrofia del tessuto coinvolto. Compaiono lesioni caratteristiche denominate drusen, che sono accumuli di detriti cellulari situati al di sotto della retina, tra epitelio pigmentato retinico e membrana di Bruch. La presenza di queste lesioni rimane spesso a lungo asintomatica.
Alle drusen seguono alterazioni atrofiche dell’epitelio pigmentato retinico e della coriocapillare ad esse adiacenti. All’atrofia dell’epitelio pigmentato si associa in breve tempo una corrispondente atrofia dei fotorecettori e quindi una perdita visiva tanto più grave quanto più estese e centrali sono le lesioni maculari. Tale patologia è variamente denominata: degenerazione secca, areolare, atrofia geografica, dry AMD. L’atrofia geografica è responsabile del 20% dei casi di cecità legale da degenerazione. Alcuni autori la considerano una eredodistrofia senile.


Altre atrofie della retina sono rappresentate dall’eredodistrofie: con tale nome si intende un complesso di patologie ereditarie dove, per alterazioni genetiche, la retina è priva o carente di quei sistemi enzimatici efficaci nel riparare e mantenere la perfetta efficienza delle cellule nervose. Ne deriva una atrofia vuoi dell’epitelio pigmentato e dunque dei fotorecettori, vuoi delle cellule gangliari e dunque delle fibre nervose che costituiscono il nervo ottico. In genere colpisce già nelle prime decadi di vita.
Tali patologie sono, la retinite pigmentosa, la degenerazione di Stargart, la distrofia dei coni, l’otticopatia di Leber tanto per citare le più frequenti.
Nell’ambito delle atrofie dei tessuti nervosi oculari dobbiamo ricordare anche le subatrofie ottiche, che possono avere differenti origini: tossiche, ischemiche, infiammatorie, glaucomatose. La morte delle fibre nervose, avvenuta per varie cause, determina l’instaurarsi di un circolo vizioso per cui le fibre vitali, adiacenti a quelle morte, finiscono per essere coinvolte nel processo apoptotico (cioè di conseguente morte cellulare) e dunque cessano di vivere anch’esse, determinando una progressiva
perdità della funzione visiva.
Esistono evidenze che in molteplici patologie genetiche la turba metabolica causa morte cellulare per apoptosi. L’apoptosi è correlata alla frammentazione del DNA nucleare per l’attivazione di una nucleasi endogena. Questa morte cellulare può essere evitata o comunque procrastinata, attivando il gene Bc12. I fattori di crescita hanno, fra le altre molteplici peculiarità, la capacità di attivare l’espressione del gene Bc12, evitando così il destino di morte, e questo indipendentemente dalla causa innescante.
I fattori di crescita penetrano nelle cellule attraverso specifici recettori il cui numero varia in rapporto alle condizioni metabolico-funzionali cellulari. Sono stati individuati recettori ad alta o bassa affinità, con effetti opposti.


Il fattore di crescita in seguito all’interazione con il recettore di membrana della cellula bersaglio, finisce per innescare una cascata di eventi in grado di interagire con l’assetto genetico nucleare.

L’osservazione secondo cui l’apoptosi può essere manipolata tramite i fattori di crescita ha supportato la loro somministrazione nella degenerazione tapeto-retinica.
Le iniezioni intravitreali di fattori di crescita (BDNF, CNTF, bFGF) proteggono la retina dall’ischemia indotta da ipertono, da fototraumatismo, ritardano la degenerazione fotorecettoriale nei topi r-d e nei topi mutanti 0344 transgenici per la rodopsina. Sono sempre più numerosi i lavori sperimentali che ne supportano la validità.
In altri termini, tale modalità di trattamento ha il vantaggio di risultare efficace indipendentemente dalla mutazione genica in causa.
Purtroppo l’effetto dei fattori di crescita esogeni ha durata relativamente breve (circa 30 giorni) e l’esecuzione di iniezioni intravitreali espone a rischi flogistici ed emorragici.
Al di là dell’uso di un corretto stile di vita e dell’integrazione di antossidanti e sostanze neurotrofiche, l’unica terapia negli ultimi dieci anni che ha mostrato validità dopo l’insorgenza della malattia atrofica, per bloccare o rallentarne l’evoluzione, è stato l’impianto di lipociti subsclerali. Il razionale si basa sull’effetto rigenerativo che l’increzione nella coroide (il tessuto vascolare che avvolge la retina) di fattori di crescita prodotti dagli adipociti ha sull’epitelio pigmentato e sulla retina stessa.
Da questi risultati clinici si evince l’importanza dei fattori di crescita nelle malattie atrofiche dei tessuti nervosi oculari e della peculiarità che hanno nella genesi dei fattori di crescita gli adipociti.


ARVO 2011 – USA: Adipocities Subscleral Implant. Growth Factors may be considered a new therapeutic approach to atrophic retinal pathology? Limoli et coll.

Nel momento in cui un paziente, che ha già effettuato un trattamento mediante impianto di lipociti subsclerali, comincia a non avere l’effetto desiderato sulla vitalità neurocitica, possiamo utilizzare un concentrato di fattori di crescita che provengono da due fonti molto ricche, e che per giunta sono autologhe, vale a dire prodotte dallo stesso paziente: le piastrine e le cellule adipose,


ARVO 2012 – USA: Prognostic Standard in Grown Factors Therapy. Limoli et coll.

Il gel piastrinico

Il gel di piastrine è un gel biologico ottenuto dalla combinazione di due componenti del sangue: il plasma ricco di piastrine, contenente numerosi ed importanti fattori di crescita capaci di stimolare meccanismi cellulari implicati nella riparazione e nella rigenerazione tessutale (angiogenesi, chemiotassi dei macrofagi, proliferazione e migrazione dei fibroblasti e sintesi di collagene), e trombina, quale reagente.
Le piastrine attivate, sotto forma di gel, elaborano, immagazzinano e rilasciano numerosi fattori di crescita (PDGF, TGFalfa e beta, IGF I e II, EGF, VEGF) capaci tra l’altro di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale ed esplicano azione chemiotattica verso polimorfonucleati, monociti e macrofagi. Tra le diverse metodiche impiegate nella riparazione dei
tessuti, una nuova tendenza è rappresentata dall’utilizzo di gel piastrinico e fattori di crescita. Il gel piastrinico è una metodica che consente l’utilizzo di fattori di crescita nella forma di Plasma ricco di piastrine (PRP, Platelet Rich Plasma ) per accelerare i processi di guarigione iniziali (attraverso bFGF, PDGF e IGF) e tardivi (attraverso EGF, VEGF, TGF-b, IGF), nell’osso e nei tessuti molli.
Le piastrine elaborano, conservano e rilasciano numerosi fattori di crescita. Concentrando le piastrine o il lisato leuco-piastrinico in sede della lesione si ottiene la liberazione in loco di grandi quantità di fattori di crescita e altri mediatori chimici. Numerosi sono i fattori di crescita noti, tra questi è meglio conosciuta l’attività del PDGF (plated Derived Growth Factor) che ha azione mitogena e antiangiogenetica, regola inoltre l’attività di altri fattori di crescita come: TGF-β, IGF 1
e 2, EGF, VEGF.
Il gel piastrinico autologo (quando proviene dallo stesso organismo) è una sostanza ricchissima di fattori di crescita (Pdgf, Tgf-β, Igf I/II, Fgfb, EGF) che viene prodotta dal prelievo di sangue del paziente affetto da lesione. Il gel piastrinico contiene numerosi e importanti fattori di crescita capaci di stimolare diversi meccanismi cellulari tra cui l’angiogenesi, la chemiotassi dei macrofagi, la proliferazione e la migrazione dei fibroblasti e la sintesi del collagene.
Le piastrine sono paragonabili a dei laboratori-magazzini cellulari che elaborano, immagazzinano e quindi rilasciano (se attivate) numerosi fattori di crescita (growth factors o GFs), capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimali come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati.
Pertanto, rilasciati localmente, i GFs innescano vari meccanismi di rigenerazione tessutale.
Questa capacità delle piastrine ad intervenire nei meccanismi di riparazione tessutale ha costituito il presupposto teorico all’utilizzo del gel di piastrine (PG) in diverse circostanze, tutte accomunate dall’esigenza di attivare un processo di riparazione tessutale.
Riparazione, rigenerazione e guarigione dei tessuti sono fenomeni biologici di estrema complessità in cui intervengono diversi fattori che interagiscono fra loro: età, metabolismo (es. diabete), sede e tipo di lesione, infezioni, infiammazione. La riparazione dei tessuti dipende dalla velocità di crescita delle cellule, dalla capacità del tessuto di riorganizzare la vascolarizzazione. Per poter crescere e riorganizzarsi in tessuto nuovo e coerente, le cellule devono “colloquiare” tra loro scambiandosi informazioni biochimiche mediante “messaggeri molecolari” che vengono prodotti dalle cellule coinvolte nella rigenerazione. Quest’ultime sono sensibili ai fattori di crescita e rispondono migrando nella giusta sede,moltiplicandosi e producendo matrice extracellulare di sostegno.
Quali siano i meccanismi più reconditi mediante i quali il gel di piastrine esplica i suoi benefici effetti non è del tutto noto. Questi effetti, di sicuro, sono legati al lento e costante rilascio locale dei fattori di crescita contenuti in abbondanza nei granuli alfa delle piastrine, e all’azione di tutta una serie di mediatori chimici.

Di questi fattori conosciamo bene il:
· PDGF (platelet derived growth factor) che esplica azione mitogena ed angiogenetica, e coordina l’azione degli altri fattori di crescita (stimolazione dei fibroblasti e degli osteoblasti, induzione della differenziazione cellulare, catalizzatore degli effetti dei fattori di crescita su altre cellule come i macrofagi), aumenta la produzione del tessuto di ricostruzione, accelera la guarigione delle ulcere croniche.
· TGF-b (trasforming growth factor-beta) ha azione chemiotattica, di stimolazione dei fibroblasti e degli osteoblasti e d’inibizione degli osteoclasti.
· L’IGF I e II (insulin like growth factor I e II ) esercitano prevalente azione sugli osteoblasti.
· L’EGF (epidermal growth factor) stimola le cellule epiteliali e mesenchimali.

Gli adipociti e i proadipociti

ll tessuto adiposo è un tessuto connettivo propriamente detto di origine mesenchimale, formato da cellule dette adipociti, deputate a sintetizzare, accumulare e cedere lipidi.
E’ noto che gli adipociti, innestati tra sclera e coroide, grazie alla loro attitudine, una volta dislocati in ambiente eterotopico, a produrre una importante quantità di fattori di crescita in particolare di bFGF, possono essere utilizzati nel contenimento dell’evoluzione delle patologie atrofiche del retina.
E’ altrettanto noto che il tessuto adiposo umano adulto è un’importantissima sorgente di cellule staminali mesenchimali (ASCs, Adipose-Derived Stem Cells) che, con opportune tecniche di bioingegneria, quando vengono messe in coltura assieme a stimolatori specifici verso una determinata linea cellulare, possono essere indirizzate a produrre non solo tessuto adiposo ma anche
vasi sanguigni, cartilagine, osso.
Le ASCs sono inoltre capaci in tal modo di differenziarsi in progenitori di cellule neuronali che possono essere utilizzate nella rigenerazione di un tessuto neuronale danneggiato o perduto. Risultati positivi ottenuti su modelli animali in vivo ha generato ottimismo in campo di rigenerazione tissutale nervosa; l’utilizzo di cellule staminali adulte, ottenute dal tessuto adiposo sono una potenziale fonte di progenitori cellulari neuronali che possono avere un’importanza fondamentale nelle applicazioni cliniche neurologiche.
Le cellule adipose, in particolar modo quelle progenitrici, sono peraltro una ricca fonte di fattori di crescita. In particolare esprimono e secernono citochine ematopoietiche come il fattore stimolante le colonie macrofagi che (M-CSF), il fattore stimolante le colonie granulocita rie e macrofagiche (GM-CSF); fattori anti-apoptotici, fattori di crescita angiogenici come il VEGF, il PIGF, il bFGF, l’angiogenina; TGF-beta e il fattore di crescita epatocita rio. In condizioni di ipossia le cellule aumentano notevolmente la secrezione del VEGF che determina l’aumento del numero delle cellule endoteliali (quelle dei vasi sanguigni) e la diminuzione del tasso apoptotico.
Secernendo fattori di crescita, gli adipociti riescono a controllare e stimolare la rigenerazione delle cellule della cute danneggiate, favoriscono e velocizzano la guarigione delle ferite, ulcere e difetti cutanei, migliorano la pigmentazione della pelle e promuovono la crescita dei capelli attraverso l’attivazione delle cellule vicine. L’ipossia migliora le funzioni rigenerative degli adipociti tramite l’incremento della secrezione dei fattori di crescita. L’utilizzo di cellule autologhe spongiose dell’osso iliaco in combinazione con adipociti, colla di fibrina e materiali di supporto biodegradabili, hanno mostrato la formazione di nuovo osso ottenuto una continuità del cranio quasi completa.
L’utilizzo di innesti di grasso con cellule adipose progenitrici isolate dall’innesto stesso è divenuta un’alternativa all’aumento chirurgico dei tessuti molli, nei casi di perdita di tessuto mesenchimale, dovuti a traumatismi, resezioni tumorali o insulti vascolari. Ultimamente tale tecnica viene utilizzata anche per l’aumento del seno in chirurgia estetica riportando buoni risultati.
La rigenerazione del tessuto adiposo è molto promettente nella ricostruzione del seno in pazienti che hanno subito una mastectomia per cancro della mammella. Studi clinici hanno dimostrato che gli adipociti hanno impiego anche in gastroenterologia, in quanto sono state usati per il trattamento delle fistole in pazienti affetti da morbo di Crohn, determinandone la chiusura.
La perdita o il difetto di altri tessuti come la cartilagine, può essere trattata con adipociti ad esempio nei difetti acquisiti per trauma o resezioni tumorali. Possono essere utilizzati anche nel trattamento delle articolazioni artritiche o partecipare alla ricostruzione articolare come nell’artrite reumatoide.

Cosa possiamo fare per voi

Presso il Centro Studi Ipovisione dopo dieci anni di esperienza nell’uso di fattori di crescita mediate dal tessuto adiposo orbitario abbiamo messo a punto la tecnica più semplice per utilizzare le proprietà dei fattori di crescita derivati dalle piastrine e delle cellule progenitrici degli adipociti, modificando la precedente tecnica, denominata Retinal Regeneration Technique o LRRT.
La terapia si basa sull’innesto in sede sovracoroideale di un peduncolo adiposo vascolarizzato di origine orbitaria, e sulla iniezione di gel piastrinico, o di adipociti provenienti dalla frazione vascolare adiposa del lipoaspirato addominale, o un mix di entrambi, nel peduncolo adiposo impiantato in sede sovra coroideale e nella tasca sclerocoroideale.
L’origine autologa non consente reazioni di rigetto: si tratta di spostare i fattori di crescita da un punto all’altro dell’organismo stesso dove è più alta la richiesta.
Il materiale biologico NON subisce manipolazioni extracorporee ma viene prelevato e innestato tra sclera e retina.
Impiantando tra retina e sclera tali elementi otteniamo un’azione nutrizionale sull’epitelio pigmentato, sulla retina e sul peduncolo stesso senza precedenti. L’azione terapeutica di tali cellule mira a mantenere vitale nel tempo il peduncolo adiposo dislocato sul piano coroideale e a ristabilire le condizioni per la vitalità delle cellule dell’epitelio pigmentato e dei fotorecettori: dunque la tecnica mira ad arrestare o rallentare per un certo periodo l’evoluzione della patologia atrofizzante.
Per questo motivo l’azione trofica deve essere idealmente esercitata su cellule ancora vitali.
I risultati sono tanto migliori quando maggiormente conservato è l’epitelio pigmentato e dunque è opportuno intervenire quando la malattia è si già conclamata ma possibilmente in uno stadio precoce, quando i fotorecettori sia pure non funzionanti presentano ancora segni di vitalità.

Terapia cellulare
Terapia cellulare
Terapia cellulare
Terapia cellulare
Terapia cellulare

Nelle immagini possiamo notare la progressione dell’azione rigenerativa nel tempo (Tgiorni, visus per lontano in decimi e per vicino in pts ) in un caso di degenerazione maculare di Stardgart. Il risultato particolarmente importante è attribuibile alla quantità di cellule ancora vive al momento del trattamento.

Dunque una valutazione preventiva dell’occhio con strumentazioni sofisticate come lo tomografia ad alta velocità (OCT Spectral domaine), l’elettroretinogramma e la microperimetria sono fondamentali per conoscere la qualità di queste cellule, individuare il momento migliore per attuare la terapia e dettare la prognosi della malattia e le possibilità terapeutiche dell’intervento.
Il monitoraggio attento della patologia da indicazione all’eventuale reiterazione del trattamento infiltrativo del peduncolo mediante il cosiddetto Platelet Gel Loading treatment (PGL) con il quale una opportuna soluzione di fattori di crescita derivati dal gel piastrinico può caricare il peduncolo che lo rilascia poi alla coroide, all’epitelio pigmentato e alla retina, oltre ad una loro azione diretta.
La cosa interessante è che con le modifiche apportate alla precedente tecnica è ora possibile reiterare l’innesto dei fattori di crescita periodicamente senza dover ripetere l’intervento, con una semplice iniezione esternamente al bulbo oculare. Così potremo contenere il decadimento funzionale dell’occhio tipico delle malattie atrofiche più sopra menzionate.

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Che rischio hai di contrarre una maculopatia? https://www.ipovisione-riabilitazione.com/che-rischio-hai-di-contrarre-una-maculopatia/ https://www.ipovisione-riabilitazione.com/che-rischio-hai-di-contrarre-una-maculopatia/#comments Mon, 16 Dec 2013 13:34:05 +0000 admin https://www.ipovisione-riabilitazione.com/?p=9984 Continue reading ]]> In sintesi possiamo anche elencare i fattori di rischio (indicandoli con punteggi positivi (da +1 a +5) o quelli protettivi per la maculopatia (indicandoli con punteggi negativi da -1 a – 5). Provate a calcolarlo voi stessi:
FATTORI DI RISCHIO
PUNTEGGIO DA ATTRIBUIRE
Età
Da 65 a 75 anni 1
Da 75 a 80 anni 2
> 85 anni 4
Sesso
Maschio 0
Femmina 1
Indice di massa corporea
< 25 (magro) 0
Da 25 a 30 (soprappeso) 1
> 30 (molto soprappeso) 3
Etnia
Caucasica (bianca) 2
Nordafricana (araba, berbera) 1
Colore dell’iride
Azzurro verde 1
Marrone 0
Cataratta operata
2
No 1
Refrazione o difetto visivo
Miopia 0
Ipermetropia 1
Fondo dell’occhio
Drusen 1
Anomalie pigmentarie 1
Patologie coesistenti
Ipertensione arteriosa 3
Arteriosclerosi 3
Colesterolo alto 3
Familiarità per maculopatia
Genitore o fratello/sorella 2
Tabagismo
Attuale 5
Passato < 5 anni 5
Passato da 5 a 10 anni 3
Passato da oltre 10 anni 2
Alcool
Birra 1
Vino rosso (2-3 bicchieri al giorno) -1
Esposizione al sole
Vita in paese assolato (centro sud, mare) 1
Utilizzo regolare lenti da sole, cappelli) 0
Consumo legumi verdi (spinaci, broccoli, cavolfiori)
< 2 volte la settimana 0
> 2 volte la settimana -2
Consumo pesce grasso (salmone, pesce azzurro, tonno)
< 2 volte la settimana 0
> 2 volte la settimana -2
Consumo frutta
< 2 volte la settimana 0
> 2 volte la settimana -2
Integratori alimentari
Vitamina C, antiossidanti selenio, rame zinco -1
Omega 3 -1
Luteina e zeaxantina -1
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Come combattere le maculopatie https://www.ipovisione-riabilitazione.com/come-combattere-le-maculopatie/ https://www.ipovisione-riabilitazione.com/come-combattere-le-maculopatie/#comments Fri, 27 Sep 2013 13:05:47 +0000 admin https://www.ipovisione-riabilitazione.com/?p=9978 Continue reading ]]> Le innovative tecniche di riabilitazione visiva consentono ai pazienti affetti da maculopatia di mantenere una dignitosa autonomia visiva.

Quali sono i disturbi del paziente ipovedente maculopatico?

«“Faccio fatica a leggere con i soliti occhiali”. “Da un po’ di tempo vedo le immagini distorte”. “Vedo una macchia fissa davanti a me”. È così che di solito esordisce un soggetto ipovedente maculopatico, cioè un paziente affetto da una patologia irreversibile non correggibile con lenti convenzionali e che non
consente un’autonomia visivo-funzionale relativamente alle proprie esigenze quotidiane».

Come reagire ai primi sintomi di maculopatia?

«Una diagnosi e un trattamento precoce sono fondamentali per un buon risultato funzionale con ogni tipo di terapia; inoltre, quando una maculopatia si complica con una neovascolarizzazione, questa, anche se curata con pieno successo, si ripresenterà quasi certamente dopo alcuni mesi o al massimo dopo un paio d’anni se non si pratica una terapia preventiva. La cosa più semplice è rivolgersi a uno studio oculistico qualificato per tali patologie e fotografare la situazione già dopo i 50-60 anni».

Con quali terapie è possibile trattare la maculopatia?

«Terapie antiossidanti, trattamenti fotodinamici e intravitreali con anti VeGF, permettono quasi sempre una regressione delle complicanze peggiori delle maculopatie a evoluzione umida. Il che non significa però che la vista non viene irreversibilmente compromessa, ma che rimane a livelli decisamente migliori rispetto al passato, consentendo nella stragrande maggioranza dei casi di conservare, magari attraverso la riabilitazione, la capacità di lettura e una dignitosa autonomia visiva».

In cosa consiste la riabilitazione visiva?

«Il paziente affetto da maculopatia, sia di tipo umido che di tipo secco, ha una compromissione della visione centrale che determina una fissazione instabile e una cattiva qualità delle immagini. Spesso si forma una macchia centrale che impedisce la visione dei dettagli e il paziente va alla ricerca delle immagini con la “coda dell’occhio”. La riabilitazione visiva insegna al paziente a utilizzare la parte eccentrica della retina attraverso ausili ingrandenti e stabilizza la fissazione in modo da avere un’immagine ingrandita più nitida e più facilmente percepibile».

Quali novità sono emerse in campo riabilitativo?

«Presso il Centro Studi Ipovisione di Milano abbiamo sviluppato delle tecnologie uniche al mondo come la simulazione virtuale delle condizioni di vista del paziente. Con la realtà virtuale si può scegliere la porzione di retina migliore e gli ingrandimenti necessari al ripristino della capacità di lettura. La  fotostimolazione neurale customizzata guida la fissazione dell’occhio su aree retiniche integre che lentamente si connettono con le aree cerebrali deputate alla visione centrale. Cristallini artificiali difrattivi riducono la dipendenza dagli ausili. Il paziente anche se presenta dei danni, ritorna autonomo nella visione».

Quale tecnica chirurgica può essere efficace?

«Quando la maculopatia è a evoluzione secca si può applicare un particolare intervento, l’impianto di lipociti subsclerali, che attraverso il posizionamento tra la sclera e la retina di cellule di grasso, consente di irrorare la retina con i fattori di crescita che tali cellule producono. Questo meccanismo ampiamente studiato in malattie estreme come le eredodistrofie, tende ad arrestare l’evoluzione delle patologie atrofiche bloccando il decadimento programmato delle cellule retiniche.
Nell’80% dei casi mantiene o migliora le condizioni funzionali. L’intervento dura una ventina di minuti. La riabilitazione visiva a seguire consolida e potenzia le performance visive».

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Hai una degenerazione maculare? Allora ti interessa. https://www.ipovisione-riabilitazione.com/hai-una-degenerazione-maculare-allora-ti-interessa/ https://www.ipovisione-riabilitazione.com/hai-una-degenerazione-maculare-allora-ti-interessa/#comments Tue, 02 Jul 2013 15:26:19 +0000 admin https://www.ipovisione-riabilitazione.com/?p=9949 Continue reading ]]> Chi colpisce?

La Degenerazione Maculare è una malattia che comincia ad essere piuttosto diffusa. In Italia colpisce oltre 3 milioni e mezzo di persone ogni anno. E’ la principale causa di cecità nei paesi occidentali dopo i 50 anni. La degenerazione maculare legata all’età colpisce la parte centrale della retina. Si manifesta a partire dai 50 anni e il rischio aumenta con l’avanzare dell’età. Quando un occhio viene colpito da degenerazione maculare l’occhio controlaterale può sviluppare in assenza di terapie lo stesso problema con una percentuale del 7% l’anno. Attualmente si può affermare che nella popolazione anziana ne risulta colpito, in varia misura,
unultrasettantacinquenne ogni tre,  ma secondo uno studio USA molto attendibile (Hymann),  la sua prevalenza fra le persone sopra i 50 anni potrebbe triplicarsi nell’arco dei prossimi vent’anni.

Perché capita?

Le cause non sono specificatamente conosciute, ma sappiamo che l’insorgenza della degenerazione si instaura più facilmente in pazienti con una riduzione dell’ossigenazione tissutale, vale a dire in pazienti ipertesi, fumatori, anziani, con problemi di circolazione retinica (miopi elevati), con problemi respiratori cronici, o sottoposti a stress ossidativo assoluto (esposizione a luce intensa non protetti, arco fotovoltaico) o relativo (assunzione ridotta di sostanze antiossidante in corrispondenza di terapie croniche con steroidi, inibitori della sintesi delle prostaglandine, malattie metaboliche). Una dieta ricca di grassi e colesterolo è associata ad un maggior rischio di degenerazione maculare. Il consumo di pesce, di acidi grassi Omega 3, carotenoidi, è invece associato ad un minor rischio di malattia. L’obesità è anche considerato un fattore di rischio. La malattia non causa cecità totale (la visione laterale rimane intatta) ma può limitare notevolmente l’autonomia nelle attività quotidiane (leggere il giornale, guidare la macchina, percepire i tratti somatici di una persona). La carenza di ossigenazione favorisce la formazione di particolari fattori detti VeGF (Vessel Endotelium Grown Factor o fattore di crescita neovascolare) il cui accumulo finisce per provocare la formazione di vasi sanguigni anomali che tendono a dilatarsi, rompersi e a creare cicatrici fibrovascolari nel tessuto retinico molto invalidanti.
Alcune forme di degenerazione maculare possono colpire anche i giovani; spesso sono causate da forti miopie con comparsa di vasi di nuova formazione (DM di tipo essudativo). Anche in questi casi la terapia esistente, se utilizzata nelle fasi più precocii, può dare ottimi risultati, mantenendo il visus esistente.

Attenzione alla macula

La macula (lutea) è la parte più centrale della retina e quella più importante, in quanto più ricca di cellule fotorecettrici: è infatti sulla macula che noi cerchiamo, talvolta basculando anche la testa se non basta il movimento oculare, di far ricadere le immagini quando vogliamo vederle in modo dettagliato, preciso. Si legge, si scrive, si guida, si svolgono tutte le attività più impegnative utilizzando come punto di concentrazione visiva dell’attenzione proprio la macula.
Conseguentemente, il paziente affetto da degenerazione maculare avrà grandi difficoltà a compiere tutte le azioni in cui è necessario fissare: riuscirà, grazie alla funzione svolta da tutta la retina circostante la zona centrale degenerata, a muoversi in modo autonomo, a vestirsi , a camminare in un ambiente noto senza urtare gli ostacoli, ma non potrà guardare in viso e riconoscere meglio i suoi interlocutori, guardare il televisore o il videoterminale o guidare.
Esistono due tipi di degenerazione maculare legata all’età: la forma secca e la forma umida.
La prima, molto più frequente (85% dei casi), consiste in una graduale, fortunatamente lenta, atrofia del tessuto coinvolto. Compaiono lesioni caratteristiche denominate drusen, che all’esame del fondo oculare appaiono come chiazzette giallastre nell’area centrale della retina. Sono accumuli di detriti cellulari situati al di sotto della retina, tra epitelio pigmentato retinico e membrana di Bruch. Clinicamente le drusen vengono classificate come dure (più piccole e con bordi netti) e molli (di diametro maggiore di 63 micron, con bordi indistinti e tendenza a confluire). Il materiale delle drusen può riassorbirsi o calcificare e possono comparire iperpigmentazioni focali. La presenza di queste lesioni rimane spesso a lungo asintomatica. Alle drusen seguono alterazioni atrofiche dell’epitelio pigmentato retinico e della coriocapillare ad esse adiacenti, fino al costituirsi di un quadro clinico denominato atrofia geografica. L’epitelio pigmentato retinico è una struttura fondamentale per la buona funzione e la sopravvivenza dei fotorecettori retinici. Pertanto all’atrofia geografica dell’epitelio pigmentato si associa una corrispondente atrofia dei fotorecettori e quindi una perdita visiva tanto più grave quanto più estese e centrali sono le lesioni. L’atrofia geografica è responsabile del 20% dei casi di cecità legale da degenerazione maculare.

Atrofia geografica maculareAtrofia geografica maculare.
Stadio avanzato della forma secca di degenerazione maculare

La forma umida, seppure più rara, è invece quella più invalidante: il 90% dei casi di cecità da degenerazione maculare è infatti dovuto alla forma umida.
In questo caso, un vaso sanguigno proveniente dalla coroide (il tessuto su cui poggia la retina) attraversa la membrana di Bruch, che normalmente separa la retina dalla coroide e va anormalmente a crescere all’interno della macula, accompagnandosi pure con una impalcatura fibrosa. Il tessuto retinico maculare, a causa di questa invasione fibro-vascolare, subisce gravi ed irreversibili danni, con una progressione che può durare in tutto solo due mesi o fino a tre anni: da ultimo, tutta la macula retinica risulta coinvolta e obliterata e il centro del campo visivo appare invaso da una macchia che lo offusca e poi cancella. Senza interventi la maggior parte degli occhi colpiti dalla forma umida diviene funzionalmente cieco entro 2 anni dall’inizio della degenerazione.

Lesione disciforme maculare
Lesione disciforme maculare
Stadio avanzato della forma umida (neovascolare) di degenerazione maculare

Sintomatologia e diagnosi

Nelle fasi iniziali, soprattutto se solo un occhio è interessato, la malattia può non dare sintomi apprezzabili. Si può notare una riduzione della visione centrale, uno sfocamento delle parole nella lettura, un’area scura o vuota al centro del campo visivo, distorsione delle linee dritte. La distorsione delle immagini è un sintomo frequente all’insorgere della forma umida neovascolare e deve indurre ad una visita oculistica urgentissima. Difetti del campo visivo centrale e distorsione possono essere apprezzati con un test semplice, la griglia di Amsler, che normalmente consigliamo nei casi a rischi di eseguire mensilmente. Richiedetelo alla nostra segreteria.

Maculopatia, visione normale alla griglia di Amsler

Maculopatia, visione in paziente con ARMD alla griglia di Amsler

 

 

 

 

 

 

Gli esami diagnostici fondamentali comprendono la misurazione dell’acutezza visiva, un attento esame del fondo oculare in biomicroscopia, la fluorangiografia (FAG) con eventuale indocianografia (ICG), la tomografia ottica a coerenza Spectral Domain (OCT), la microperimetria.
L’evoluzione della malattia viene successivamente seguita con OCT e Microperimetria periodici, inizialmente anche dopo un mese dal trattamento, poi, a patologia stabilizzata, almeno due volte l’anno.
La fluorangiografia utilizza una sostanza fluorescente alla luce blu (fluoresceina) che impregna la membrana neovascolare e la rende evidente. Sul reperto fluorangiografico la neovascolarizzazione può apparire ben delineata e chiaramente localizzabile (neovascolarizzazione classica), oppure può apparire mal definita e solo sospettabile (neovascolarizzazione occulta). Molto spesso l’intera formazione neovascolare ha sia una componente classica che una componente occulta, e a seconda del prevalere dell’una o dell’altra potrà essere definita prevalentemente classica o minimamente classica. In caso di neovascolarizzazione occulta può essere utile eseguire un secondo esame angiografico che utilizza un colorante fluorescente all’infrarosso (verde di indocianina) in grado di dare un’immagine più definita di questo tipo di neovasi. L’angiografia con verde di indocianina può anche facilitare il riconoscimento di manifestazioni particolari del processo neovascolare nell’ambito della degenerazione maculare: la vasculopatia coroideale polipoide e la proliferazione angiomatosa retinica o RAP. Lo stesso esame angiografico eseguito con tecnica dinamica può far individuare il vaso afferente (feeder vessel) da cui origina la rete vascolare della membrana neoformata. Il più innovativo tra gli strumenti angiografici è l’F10 in grado di dare immagini quasi in rilievo e dunque individuare molto precocemente le prime lesioni della maculopatia prima ancora degli esami microperimetrici.
La tomografia ottica a coerenza è stata introdotta in Italia nel 2003. Attualmente utilizziamo OCT Spectral Domain, cioè che registrano a velocità altissima migliaia di scansioni al secondo.
Consiste nel sezionare la retina in vivo con fasci di luce polarizzata: ciò consente di realizzare delle immagini di precisione quasi istologica della retina che appare vista in sezione. In tal modo è possibile vedere anomalie neovascolari prima ancora che diano dei segni clinici, o modulare meglio le terapie a seconda dell’aspetto della lesione. E’ possibile inoltre seguire meglio e senza l’invasività della fluorangiografia l’evoluzione della membrana, sia prima che dopo il trattamento effettuato, in modo da stabilire più precocemente l’eventualità di una recidiva e la conseguente iniziativa terapeutica.
La microperimetria è una retinografia dove, grazie ad un sistema di puntamento intelligente, è possibile evidenziare la sensibilità retinica per ogni gruppo recettoriale. Il sistema di puntamento viene memorizzato dal computer che gestisce l’esame in modo che al controllo si possa testare la sensibilità e quindi analizzarne il funzionamento esattemente sugli stessi gruppi di recettori testati precedentemente. E’ possibile così evidenziare prima di avere una riduzione della vista una perdita della sensibilità anche modesta, e procedere precocemente all’affinamento diagnostico con fluorangiografia e tomografia ottica e infine alla terapia più appropriata.

Trattamento delle forme umide

La fotocoagulazione con laser termico per fortuna non viene quasi più utilizzata. Da un punto di vista terapeutico rappresenta un non senso in quanto elimina oltre al neovaso anche la retina sovrastante, cioè determina una vera amputazione del tessuto retinico con crollo della funzione visiva. E’ anzi di recente acquisizione (ARVO 2005) che l’atrofia generata dal trattamento fotocoagulativo favorisce le recidive, che in effetti sono frequenti con tale trattamento, al punto da venire utilizzato per ricreare, attualmente, il modello sperimentale di membrana neovascolare nella cavia.

La terapia fotodinamica è, in ordine di tempo, il primo trattamento trovato efficace per le membrane neovascolari che complicano la maculopatia, utilizzato quando i vasi neoformati occupano il centro della macula e hanno determinate caratteristiche (30-40% dei casi). Nella terapia fotodinamica una sostanza fotosensibile (verteporfina) iniettata in vena va ad aderire all’endotelio del vasi neoformati. La verteporfina si accumula selettivamente nelle cellule endoteliali (nella superficie interna) dei vasi invasivi grazie alla sua liposolubilità: infatti essa va a legarsi alle lipoproteine a bassa densità (LDL), di cui le cellule endoteliali vascolari sono ricche.
La verteporfina (che ha un’emivita di 2-5 ore) viene poi eliminata completamente dall’organismo nel giro di 24 ore.
La sua attivazione avviene soltanto dopo applicazione di un raggio laser non termico sulle aree da trattare, di lunghezza d’onda pari al picco di massimo assorbimento della sostanza stessa: è un laser a diodi di piccolo ingombro (che opera ad una lunghezza d’onda di 689 + – 3nm): non ha azione termica, per cui non si registrano danni alla retina sovrastante.
La verteporfina, una volta raggiunta dal raggio laser, esplica la sua funzione secondo due modalità: a) disgregazione sia strutturale che funzionale dei neovasi invasivi in seguito alla formazione di radicali liberi, sviluppati dall’energia sprigionata dalla verteporfina irraggiata, i quali reagiscono con i lipidi delle membrane cellulari proliferative; b) una modificazione della struttura delle proteine e degli acidi nucleici delle cellule endoteliali ad opera delle molecole di ossigeno attivo (singoletto) ottenute dalla loro collisione con le particelle di verteporfina irraggiata. Non più un’amputazione tissutale, come nel caso della terapia laser fotocoagulativa convenzionale, ma invece un trattamento mirato sul tessuto patologico, che risparmia quello sano adiacente. Tuttavia tale terapia favorisce contemporaneamente una montata di VeGF proprio per il danno che essa provoca e dunque se utilizzata da sola favorisce la recidiva. L’uso ideale è in associazione con il trattamento intravitreale con Anti VeGF.
L’attenzione attuale è rivolta a terapie farmacologiche mirate all’inibizione del processo di angiogenesi che sta alla base della forma umida di degenerazione maculare. Si stanno valutando diversi farmaci inibitori del VEGF che è il mediatore chiave nel processo di neoformazione dei vasi. Un’attività antiangiogenica è stata riconosciuta ad alcuni steroidi.
Dal 2004 abbiamo avuto esperienze positive con l’associazione dell’iniezione intravitreale di triamcinolone alla terapia fotodinamica in forme particolari di degenerazione maculare neovascolare. Il triamcinolone è uno steroide dalla potentissima azione antinfiammatoria e antiedemigena, permane nell’occhio per almeno sei mesi e grazie alle proprietà antiangiogeniche blocca la recidiva e favorisce l’effetto della terapia fotodinamica la cui azione su un tessuto reso più omogeneo dal trattamento intravitreale appare essere più efficace.
Nel settembre 2006 abbiamo introdotto l’uso intravitreale dell’Avastin. L’Avastin (Bevacizumab), un farmaco antiangiogenetico attualmente registrato per uso oncologico, è stato proposto per il trattamento con iniezione intraoculare della degenerazione maculare umida e di altre patologie essudative e neovascolari della retina. Una serie di studi pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali riportano l’efficacia dell’utilizzo oftalmologico di questo farmaco il che ha reso possibile la sua approvazione in campo oftalmologico in Italia dal 31 maggio 2007 sia pure in regime off-label.
L’FDA ha approvato il ranibizumab (Lucentis), farmaco appartenente alla famiglia degli antiangiogenici e derivato dal Bevacizumab, per il trattamento della degenerazione maculare. Il farmaco è un anticorpo che si lega alla proteina VEGF, che è la principale responsabile della formazione dei neovasi sottoretinici che sono alla base dell’evoluzione essudativa della malattia. Gli studi indicano che, a distanza di 1 anno dalla terapia, circa il 95% dei pazienti trattati con iniezioni intraoculari di questo farmaco mantiene una stabilità visiva e che il 40% ha un miglioramento della visione.
Dopo l’approvazione negli Stati Uniti il Pegaptanib (Macugen) è stato approvato dalla Commissione Europea negli stati dell’Unione Europea. Questo farmaco può essere utilizzato in tutte le forme di degenerazione maculare di tipo essudativo. Il Macugen è un farmaco anti-VEGF e agisce inibendo la crescita dei neovasi  che sono alla base della evoluzione essudativa della degenerazione maculare. Negli studi clinici effettuati il 70% dei pazienti che hanno ricevuto una iniezione del farmaco ogni sei settimane ha perso meno di tre linee di acutezza visiva, contro il 55% dei pazienti nel gruppo di controllo. Il farmaco è più selettivo rispetto agli altri due e dunque non agisce in tutti i casi.

Il paziente deve anche sapere che una precoce diagnosi e un precoce trattamento sono elementi fondamentali per un buon risultato funzionale con ogni tipo di terapia. Deve anche sapere che quando una maculopatia si complica con una neovascolarizzazione, questa, anche se curata con pieno successo, si ripresenterà nuovamente dopo alcuni mesi o al massimo dopo un anno o due.

 

Il trattamento che garantisce una conservazione del visus o una sua debole riduzione nell’80% dei casi è quello effettuato nelle prime 3-4 settimane dall’’inizio dei sintomi maculari.

In base agli studi ANCHOR e MARINA sul confronto tra PDT e Anti VeGF, si evidenzia che la somministrazione endoculare mensile di sostanze antiVeGF tende a conservare il recupero iniziale nei due anni successivi, mentre la terapia fotodinamica, che arresta inizialmente l’attività della membrana neovascolare, non controlla le recidive.

Maculopatia

L’orientamento attuale appare essere quello di utilizzare in associazione anti VeGF e PDT eventualmente associato a steroidi intravitreali a piccola percentuale e, dopo aver spento la complicanza neovascolare, programmare la somministrazione dei farmaci antivitreali con posologie personalizzate ogni sei mesi o meno a seconda della tendenza della membrana a recidivare.
Si tratta del trattamento periodico customizzato dove il paziente per mantenere il proprio visus deve ricevere preventivamente cioè prima di una recidiva della neovascolarizzazione, un nuovo trattamento con Anti VeGF.

Maculopatia, variazione BCVA

 

Tale grafico mostra come a distanza di tre anni i pazienti che hanno eseguito un trattamento curativo, cioè ogni volta che la neovascolarizzazione si è ripresentata, hanno finito per perdere la visus fino a 1 decimo, i pazienti invece che hanno seguito un programma terapeutico preventivo hanno mantenuto i tre decimi iniziali. Più il visus iniziale è alto e migliore sarà la possibilità di mantenerlo tale (Euvision 2010 Limoli et coll.).

Fondamentali in ogni caso gli antiossidanti che sono un’efficace terapia di supporto alla degenerazione maculare e una buona prevenzione alle complicanze più gravi. Il loro compito è quello di contrastare lo stress ossidativo sulla retina, rendendo più resistenti i fotorecettori residui e rallentandone l’apoptosi o morte programmata. Consideriamo che gli anti VeGF, proprio per il blocco dei VeGF, aumentano lo stress ossidativi nella retina.
Il principali antiossidante è la vitamina C ad alti dosaggi, ma dobbiamo menzionare il coenzima Q10, il resveratrolo, la lutina, la zeaxantina e la mesozeaxantina, l’omega3, l’acido lipoico, la vitamina E, il betacarotene, lo zinco, il rame, il selenio.
Il trattamento con antiossidanti si rivela inoltre particolarmente utile nel rallentare la progressione nela forma atrofica oltre che a limitare il danno nelle forme umide
Il vostro oculista saprà scegliere per voi l’associazione e la posologia migliore  per il vostro caso.
Quando possibile noi consigliamo una regolare attività aerobica in quanto è stato osservato nei corridori anziani con maculopatia, la membrana recidiva molto poco o per nulla.
Dunque uno stile di vita sano con attività sportiva, assenza di fumo e dieta ricca di antiossidanti aiutano a prevenire o contrastare l’evoluzione delle maculopatie.

Prospettive terapeutiche nelle forme umide

Si stanno studiando dei dispositivi intraoculari a rilascio lento programmato per mantenere una  minima presenza nel tempo di anti VeGF in occhi predisposti alla neovascolarizzazione.
Inoltre sono al termine degli studi preliminari i VeGF Trap, inibitori della sintesi dei VeGF che dunque bloccano tali fattori sul nascere impedendo la genesi del neovaso.
Allo studio anche gli anti PDGF. Intorno all’endotelio neoformato esistono delle cellule avvolgenti dette periciti che in qualche modo proteggono gli endoteliociti dall’azione dei farmaci anti VeGF. L’utilizzo degli anti PDGF associato sembra garantire un’azione più radicale delle terapie attuali.
Nella fasi precoci della malattia invece potrebbero essere utilizzari gli inibitori del complemento in particolare della particella C5, utilizzata all’interno di processi infiammatori che coinvolgono la membrana di Bruch (quella membrana che separa il tessuto vascolare dall’epitelio pigmentato e dalla retina) e che danneggiando tale membrana da origine alla catena di eventi che determinano la neovascolarizzazione.

Trattamento nelle forme secche

Altro trattamento utilizzato nella forma atrofica, questa volta chirurgico, è l’impianto di lipociti subsclerali il cui razionale prevede l’effetto dell’increzione di fattori di crescita nella coroide, il tessuto vascolare che avvolge la retina. Esistono evidenze che in molteplici patologie genetiche la turba metabolica causa morte cellulare per apoptosi. Anche nelle degenerazioni maculari atrofiche la perdita dei fotorecettori avviene per apoptosi. L’apoptosi è correlata alla frammentazione del DNA nucleare per l’attivazione di una nucleasi endogena. Questa morte cellulare può essere evitata o comunque procrastinata, attivando il gene Bc12. I fattori di crescita hanno, fra le altre molteplici peculiarità, la capacità di attivare l’espressione del geneBc12, evitando così il destino di morte, e questo indipendentemente dalla causa innescante. Le iniezioni intravitreali di fattori di crescita (BDNF, CNTF, bFGF) proteggono la retina dall’ischemia indotta da ipertono, da fototraumatismo, ritardano la degenerazione fotorecettoriale nei topi r-d e nei topi mutanti 0344 transgenici per la rodopsina. Sono sempre più numerosi i lavori sperimentali che ne supportano la validità. In altri termini, tale modalità di trattamento ha il vantaggio di risultare efficace indipendentemente dalla mutazione genica in causa. Purtroppo l’effetto dei fattori di crescita esogeni ha durata relativamente breve (circa 30 giorni) e l’esecuzione di iniezioni intravitreali espone a rischi flogistici ed emorragici. Strategia alternativa è l’impianto, a livello corioretinico, di lipociti peduncolati, secondo la tecnica messa a punto nel 1993 da Pelaez ed applicata su una casistica di migliaia di pazienti. L’autore ha riferito una stabilizzazione dell’evoluzione in oltre il 60% dei casi, miglioramenti in oltre il 20%, per monitoraggi parziali di cinque anni. Il razionale dell’intervento deriva le sue basi nella particolare attitudine dei lipociti orbitari quando immersi in ambiente eterotopico a produrre quantità elevate di fattori di crescita ed in particolare bFGF. Essendo un peduncolo con apporto nutrizionale autonomo, tali cellule si mantengono vitali differentemente da quanto si verifica in caso di impianto cellulare libero. L’intervento, eseguito in anestesia locale è finalizzato a ridurre il grado di evolutività della malattia e non sono ipotizzabili miglioramenti se non una piccola percentuale di casi.

Maculopatia

Nel 2007 e poi nel 2012 abbiamo modificato la tecnica di Pelaez per aumentare l’apporto di fattori di crescita attraverso una maggior vitalità del peduncolo adiposo.
Un’analisi fatta presso il nostro Centro e presentata nel 2011 negli Stati Uniti (ARVO) ha messo in evidenza come i pazienti con patologie atrofiche a carico delle cellule retiniche (eredodistrofie, degenerazioni maculari senili atrofiche e otticopatie atrofiche) possano avere una evoluzione più favorevole rispetto al gruppo di controllo a due anni dal trattamento.

Maculopatia

Prospettive terapeutiche forme secche

Tre saranno le strategie terapeutiche per queste forme: la terapia genica, le cellule staminali, i fattori di crescita come abbiamo già visto con l’impianto di lipociti subsclerali.
La terapia genica consiste nell’inserire nel cromosoma della cellula retinica il gene mancante attraverso un vettore virale o non.
Interessante l’impianto di tessuti fotorecettoriali a partenza da cellule embrionali indifferenziate o da cellule gliali adulte (cellule di Muller)
I fattori di crescita esogeni sono attualmente in fase tre. Un dispositivo della Neurotech a rilascio lento di CNTF (fattore per il trofismo neurociliare) permette di ostacolare i processi apoptotici di morte programmata delle cellule nervose, alla base delle patologie atrofiche retiniche.
I risultati sembrano essere simili all’impianto di lipociti subsclerali con il vantaggio di poter modificare il dosaggio di tali fattori e lo svantaggio di dover inserire dentro al bulbo oculare il dispositivo.
Dal dicembre 2011 possiamo utilizzare i fattori di crescita elaborati da un gel di piastrine  opportunamente idrolizzato e poi reiniettati (Platelet Gel Loading Treatment, messo a punto dal nostro Centro), con una periodicità variabile, alla base del peduncolo adiposo precedentemente posizionato sotto la sclera, in modo da procrastinare il più possibile i fenomeni apoptotici della retina.
Dal gennaio 2012 è disponibile l’innesto tra la sclera e la retina di cellule staminali adipose autologhe. Tali cellule vengono prelevate nel corso della medesima seduta dal pannicolo adiposo e, dopo separazione dal tessuto adiposo maturo, iniettate con una tecnica messa a punto sempre nel nostro Centro, alla base del peduncolo adiposo e inserite sotto lo sportello sclerale a diretto contatto della coroide: tali cellule rivitalizzano il peduncolo precedentemente inserito e incrementano la produzione di fattori di crescita.
Non essendoci penetrazione intraoculare il trattamento è sostanzialmente innocuo.

In sintesi

Dall’inizio del 2000 le strategie diagnostiche e terapeutiche delle degenerazioni maculari sono radicalmente cambiate. Ciò comporta che la maculopatia solo raramente porta a cecità. Il che non significa che la vista non viene irreversibilmente compromessa, ma rimane a livelli decisamente migliori rispetto al passato, consentendo nella stragrande maggioranza dei casi di conservare, magari attraverso la riabilitazione visiva (ma questo è un altro capitolo), la capacità di lettura e una dignitosa autonomia visiva.
Compito dell’oculista è disporre prontamente per il paziente delle tecniche diagnostiche adeguate e delle terapie più efficaci, compito del paziente segnalare immediatamente all’oculista i cambiamenti nella visione in modo da potersi agevolare di trattamenti più efficaci in tempi brevi.
Così è più facile mantenere il proprio residuo visivo.
La degenerazione maculare, infatti, è una patologia degenerativa che non guarisce come un raffreddore, ma accompagna il paziente per tutta la vita.
Per tale motivo il paziente dovrà accettare di effettuare, dopo la prima guarigione della membrana neovascolare, un trattamento periodico in genere semestrale seguito da una verifica con OCT e Microperimetria il mese successivo. O dopo aver bloccato un evoluzione atrofica, sottoporsi ad un monitoraggio attento per eventuali reiterazioni del trattamento con fattori di crescita (PGL treatment). Tale periodicità può essere personalizzata a seconda dei casi clinici. Tra un trattamento e l’altro è utile eseguire un miniciclo di fotostimolazioni customizzate che non soltanto migliorano la visione, ristabilizzando la fissazione nei punti residui migliori della retina, ma consentono di monitorare attentamente l’eventuale esordio delle recidive e di modulare meglio (customizzare) la periodicità del trattamento.
I pazienti seguiti in tal modo mantengono mediamente le proprie prestazioni visive mentre i pazienti che ritornano dall’oculista per una nuova recidiva o per un evoluzione marcata della patologia sono destinati a subire una graduale e progressiva riduzione delle proprie capacità visive.

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Vuole inoltre indicare alcune possibili alternative nella scelta dell’illuminazione per rispondere nel migliore dei modi alle necessità delle persone che hanno una visione ridotta.

Illuminazione

Il requisito fondamentale è quello di avere una luce sufficiente, ma non eccessiva, là dove occorre, senza riflessi e con una distribuzione corretta nelle diverse zone interessate.
E’ indispensabile la flessibilità non soltanto perché le necessità possono variar da persona a persona, ma anche perché i compiti visivi possono essere diversi.
Vi è un numero infinto di situazioni e si può affermare che i requisiti visivi per ognuna di loro sono diversi.
Vi è un numero infiniti di situazioni e si può affermare che i requisiti visivi per ognuna di loro sono diversi, ma generalmente si parla di due tipi di necessità: lavoro da vicino e dettaglio (leggere, cucinare…) e visione da lontano (spostamenti, cinema, TV, autobus, numeri civici…).

E’ importante garantire una corretta illuminazione per i lavori che coinvolgono la visione al punto prossimo: l’ideale è disporre di una buona locale insieme con una più diffusa, per creare un ambiente uniforme di illuminazione generale.
Una buona fonte di luce sopra il piano di lavoro o vicino al lavoro da svolgere è altrettanto importante dell’illuminazione da una stanza all’altra o da un punto all’altro di una medesima stanza. Per esempio, non bisogna leggere un libro o guardare la TV mentre il resto della stanza rimane al buio. Allo stesso modo, dopo aver svolto un lavoro da vicino con una luce brillante molto focalizzata, può risultare difficoltoso tentare di muoversi entro un’area limitata per il fatto che gli occhi possono essersi adattati a un livello di illuminazione elevato e quindi necessitano di un certo tempo per abituarsi a un altro livello di illuminazione più basso.
In casa è importante non utilizzare soltanto la luce dal soffitto per illuminare, i dettagli, inoltre è più efficace ed economico tenere la luce molto più vicino al lavoro. Occorre tenere presente che una lampada tenuta alla distanza di 60 cm dal libro può aumentare di 4 volte la quantità di luce sulla pagina rispetto all’illuminazione prodotta da un lampadario a soffitto posto a 120 cm. Una buona alternativa è quella di creare un’illuminazione locale con lampade da tavolo e una più generale con lampade a soffitto o a parete.
Occorre anche tenere presente gli effetti che l’illuminazione naturale del giorno produce sul soggetto perché essi influiranno sia sulla luce ricevuta all’interno di una stanza, come vedremo in seguito, sia sugli spostamenti all’estero.
Riguardo alle necessità sulla visione da lontano si devono prendere i considerazione una serie di fattori che sono:

Qual’è effetto dell’abbagliamento sul paziente

E’ noto a tutti che esistono determinate condizioni oculari, come la cataratta, l’albinismo, in presenza delle quali aumenta considerevolmente la fotofobia. Mentre al contrario, per i soggetti con problemi maculari secondo gli studi svolti da Slogan et al (1973) e da Silvar(1976), risulta più vantaggioso lavorare con livelli di illuminazione elevati, di circa 1000 IUD.
E’ importante conoscere la tecniche utilizzate dal soggetto per contrastare l’eccesso di luce naturale, come per esempio l’abitudine di camminare sul lato della strada che rimane in ombra.
Quali sono i possibili problemi quando si verificano variazioni rapide dell’illuminazione e se esistono problemi con il contrasto del contorno.
Può essere utile conoscere il comportamento dell’individuo durante le ore serali quando l’illuminazione è minore.
Gli espedienti ai quali ciascun individuo può ricorrere sono molti. Alcuni preferiranno proteggersi indossando un cappello o un berretto con visiera oppure potranno seguire il consiglio di utilizzare filtri speciali sugli occhiali.
A volte è preferibile ricorrere a questa alternativa piuttosto che usare occhiali da sole poiché l’effetto dei filtri solari è quello di diminuire l’illuminazione e il contrasto.
Tuttavia in ambienti o Paesi del mondo dove il riflesso solare è molto forte, come nel nostro, anche gli occhiali da sole possono essere utili purché la lenti abbiano una protezione dalle radiazioni UV.
Solitamente sono ben tollerati gli occhiali da sole che permettono il passaggio da una quantità di luce compresa tra il 20% e il 30%, ovvero la maggioranza delle lenti fotocromatiche. I filtri molto scuri che permettono soltanto il passaggio del 10% di luce, si utilizzano esclusivamente nei luoghi dove la radiazione è molto elevata, come la spiaggia o la neve.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che la soluzione più opportuna può essere in alcuni casi l’adattamento di lenti degradanti.

Arredamento e luce diurna

La luce diurna è una fonte importante d luce che normalmente non viene sfruttata nel modo migliore. Per poterla sfruttare al meglio occorre adottare una serie di accorgimenti per esempio, bisogna scegliere un tendaggio chiaro che non impedisca il passaggio della luce e mantenere i vetri delle finestre trasparenti e puliti.
Un ulteriore accorgimento può essere quello di disporre i mobili in modo che anch’essi non impediscano il passaggio della luce proveniente dalle finestre, ma sempre cercando di evitare in ogni modo i riflessi della zone o sulla superficie dove abitualmente si lavora. Un possibile metodo è quello di far arrivare la luce da dietro le spalle.
E’ opportuno collocare le lampade da tavolo o da terra tenendo presente i consigli già dati in precedenza rispetto alla posizione dei mobili. Se le lampade sono fisse (a soffitto o a parete) sarà magari opportuno pensare ad una posizione alternativa che consenta una certa mobilità, prevedendo il momento in cui le giornate si accorceranno e la quantità di luce diurna usufruibile sarà minima.
Si dovrà inoltre tener presente che una lampada, collocata sopra il televisore, provoca un riflesso diretto agli occhi così come una diminuzione di contrasto e della visibilità dello schermo.
Il livello generale d’illuminazione della stanza non dipende soltanto dalle lampade disponibili ma anche dal colore dei mobili, del soffitto, del pavimento e delle pareti.
I nostri occhi ricevono la luce che viene riflessa dal soffitto, dalle pareti e dagli oggetti della stanza. Di conseguenza i colori utilizzati contribuiscono alla quantità di luce disponibile. In un ambiente di colore scuro molte radiazioni luminose verranno eliminate.
In generale è preferibile che per l’imbiancatura delle pareti e dal soffitto vengano utilizzati colori chiari. In questo modo all’interno delle stampe verrà riflessa una quantità di luce maggiore e aumenterà il contrasto con i mobili e le altre suppellettili.
Colori come grigio chiaro, crema, giallo tenue e bianco sono altamente riflettenti e arrivano a riflettere fino al 75% della luce che incide su superfici di tale colore. Questa luce riflessa va ad incidere sulle altre superfici della stessa stanza.
Va comunque tenuto presente che una stanza interamente dipinta di bianco presenterà un alto livello riflettente rispetto alle sue superfici, il che potrà risultare pregiudiziale per alcuni deficit visivi provocando fastidiosi riflessi.
Tuttavia potremo facilitare ulteriormente l’orientamento di una persona con bassa visione, se invece di utilizzare lo stesso colore per imbiancare pareti e soffitto consiglieremo di adottare un espediente come quello di applicare un fregio o una greca nella parte superiore della parete a livello del soffitto, che faciliterà la percezione della forma e della grandezza della stanza.
Le porte e i relativi stipiti e serrature, gli interruttori, le perse elettriche, eccetera, possono essere di colori particolarmente evidenti o contrastanti con lo sfondo. Per esempio per individuare più facilmente in una parte dipinta di color crema la presenza di una porta, è sufficiente che essa sia di colore più scuro. Se poi verniceremo la parte anteriore della porta stessa di colore diverso, sapremo se è chiusa o aperta.
Per facilitare la mobilità di queste persone in luoghi chiusi, si può ricorrere ad un tipo di orientamento uditivo oltre che visivo. Il tic-tac di un orologio può essere un aiuto molto efficace.

Luce elettrica

La prima cosa che occorre sapere è che l’intensità della luce elettrica che si utilizza in casa o sul posto di lavoro non è mai nociva per gli occhi e neppure una maggiore quantità della stessa può risultare dannosa. Molte persone rifiutano senza motivo di leggere caratteri di piccole dimensioni temendo di danneggiare o compromettere i propri occhi in quanto per poterle vedere dovrebbero ricorrere ad una illuminazione eccessiva.
Un’illuminazione insufficiente può rendere difficile la letture e provocare inoltre una serie di riflessi indesiderati. Tuttavia i fastidi che si potranno manifestare saranno per lo più dolori di testa e una sensazione di indolenzimento oculare di tipo transitorio, entrambi riconducibili a dolori di origine muscolare. Le cause più frequenti delle difficoltà nella visione da vicino sono:
Livelli insufficienti di illuminazione;
Ombre prodotte da una collocazione errata delle lampade;
Riflessi prodotti da lampadine o schermi inadeguati;
Lenti per occhiali errate o semplicemente sporche.
La quantità di illuminazione necessaria varia su base individuale. Tuttavia, alla maggior parte delle persone di una certa età e con problemi di bassa visione occorrono livelli relativamente alti, senza dimenticare però che esistono alcuni casi nei quali risulta più vantaggioso lavorare con una minore quantità di luce.
Si può iniziare, come prova, con una luce focale da 100 watt, per esempio, quella di una lampada a braccio estensibile. Questo tipo di lampada offre il vantaggio di poter essere collocata in modo da illuminare il lavoro senza produrre abbagliamento e garantendo un livello elevato di illuminazione quando è necessario.
Se per ottenere una luce sufficiente sarà necessario aumentare la potenza della lampadina, si potrà pensare di utilizzare una lampadina della stessa potenza ma del tipo con rivestimento argentato, che darà una luce più intensa e permetterà di allontanare la lampada, evitando così che l’interessato possa urtarla e allo stesso tempo che debba sopportare il calore emesso dalle lampadine ad incandescenza.
Il principale svantaggio della lampada da lettura è che essa illumina soltanto una zona precisa e lascia il resto della stanza nell’oscurità, pertanto sarà sempre necessaria un’addizionale fonte di illuminazione.

Tipi di lampadine

Possiamo affermare che attualmente disponiamo di fonti di illuminazioni diverse: lampadine a incandescenza, a gas, a fluorescenza e luci laser.
Nelle lampadine a incandescenza il passaggio della corrente elettrica si verifica attraverso un filamento conduttore. La luce viene emessa perché il filamento stesso rappresenta una determinata resistenza elettrica.
Le comuni lampadine con filamento a incandescenza sono disponibili in una vasta gamma di potenze e si possono incontrare in ogni tipo di edificio.
Tipi di lampadine:
comuni lampadine a bulbo trasparenti o con vetro smerigliato;
lampadine riflettenti caratterizzate da una parte metallizzata;
lampadine a luce concentrata, diffusa o a protezione, dotate di un filamento rigido posto in modo tale da permettere di determinare l’intensità e l’ampiezza del fascio luminoso;
lampadine a infrarossi, nelle quali il filamento raggiunge una temperatura elevata. Si utilizzano a scopi terapeutici e industriali;
lampadine alogene, che utilizzano al loro interno gas di iodio.
Le lampadine a bulbo trasparente sono quelle che danno la maggior quantità di luce, ma possono essere fonte di riflessi se utilizzate in modo improprio.
Le lampadine riflettenti sono molto efficaci nella luce diretta, ma possono trasformarsi in una fonte di riflessi se non sono allineate in modo adeguato. Alcune lampade dell’ultima generazione a basso voltaggio sono molto sicure dal punto di vista elettrico, ma i loro bulbi raggiungono temperature molto elevate.
I bulbi di cristallo opaco, emettono ombre soffuse, con una minima perdita di luce.
Uno dei principali svantaggi delle lampadine a filamento di tungsteno è la potenza generata vicino alla testa del soggetto anche con bulbi da pochi watt: questo le rende poco gradite in quanto sviluppano calore.
Le lampadine che diffondono luce per mezzo di un gas sono caratterizzate dal fatto che la luce viene prodotta da una scarica elettrica in un mezzo gassoso.
La principali sono:
lampade a vapore di mercurio: quelle ad alta pressione si utilizzano generalmente per l’illuminazione pubblica;
lampade a vapore di sodio. Sono costituite da un tubo ad “U” protetto da un’ampolla. Quelle a bassa pressione si utilizzano quando serve produrre contrasti. Con quelle ad alta pressione si ottiene una buona resa del colore.
Le lampade fluorescenti garantiscono una notevole efficacia e una buona resa dei colori. Va tenuto presente che la quantità di luce emessa dipende dal deterioramento graduale della polvere fluorescente che le compone e dalla temperatura. Le lampadine fluorescenti sono più convenienti per il fatto che possono durare fino a 8 volte di più ed emettono una quantità di luce all’incirca 5 volte maggiore rispetto a quelle a filamento dello stesso voltaggio.
Come alternativa alle normali lampadine a bulbo esistono alcune lampadine di tipo freddo a bassa potenza, disponibili in fluorescenza. Normalmente per installare una lampadine fluorescente occorre un equipaggiamento più costoso rispetto a quella utilizzata per le normali lampadine a tungsteno. Il vantaggio principale è il fatto che in proporzione generano una luce più intensa e una più estesa area illuminata. Consentono di stare seduti più vicini alla lampada, di poterla toccare e quindi regolare anche dopo molte ore di utilizzo.

Raccomandazioni di utilizzo nelle diverse stanze di un’abitazione

Abbiamo visto precedentemente alcuni suggerimenti di carattere generale per aumentare il contrasto all’interno di un’abitazione. Ora vediamo alcune specifiche soluzioni per ognuna della stanze della casa.

Sala da pranzo

Per orientarsi meglio nella stanza o per riuscire ad individuare meglio i mobili, le porte, ecc., può essere utile il contrasto, come abbiamo già avuto modo di osservare.
Sulla tavola apparecchiata, per creare un contrasto tra tovaglia e stoviglie, si possono utilizzare colori diversi oppure si può giocare con le tonalità dei tessuti della tovaglia o utilizzare tovagliati individuali.

Cucina

Un lampadario a soffitto con luce fluorescente potrà fornire un’illuminazione generale, mentre piccole luci fluorescente poste sotto i pensili garantiranno un’illuminazione più concentrata sulle diverse superfici, anche se va tenuto presente che per i soggetti che non hanno limitazioni visive la collocazione di queste luci non sarà la stessa.
Avere un’area scura e una di colore più chiaro permette un maggiore contrasto che faciliterà il lavoro da svolgere sulla superficie illuminata.
Una persiana alla finestra, quando c’è, sarà utile per ridurre i riflessi della luce solare.
Possiamo anche pensare ai piccoli oggetti di uso comune in cucina. Una buon soluzione per non confondere i contenitori di sale, zucchero, farina, ecc., è quello di utilizzare forme, grandezze e colori diversi.
I taglieri possono essere di colore chiaro da un lato, più scuro dall’altro in modo da poter utilizzare l’uno o l’altro a seconda dell’alimento che deve essere tagliato. E’ preferibile che i recipienti di cristallo siano colorati piuttosto che trasparenti.

Bagno

Per orientarsi meglio nel bagno una possibilità è quella di installare sanitari colorati.
Per aumentare il contrasto può essere utile che la parete di fronte allo specchio sia scura oppure, in alternativa, si potrà appendere un asciugamano di colore scuro.
Un’altra possibilità è quella di collocare sopra lo specchio una stufetta a resistenza elettrica che permetterà di eliminare sempre tutto il vapore e quindi consentirà una migliore visibilità. Uno specchio a lente con braccio estendibile collocato a lato dello specchio prinipale permetterà di recarsi o di struccarsi più agevolmente.

Ingresso o anticamera

Molti sono i modi per illuminare la porta d’ingresso, ma essenzialmente l luce deve illuminare la serratura e lo stipite per poterli localizzare più facilmente.
Gli eventuali scalini o gli eventuali cambiamenti di livello devono essere ben illuminati e, se possibile, dipinti di bianco.
Se nella casa vi sono scale per accedere ai piani superiori oppure cambi di livello nella stessa stanza, sarà opportuno che nel caso fossero rivestiti di moquette o coperti da un tappeto, questi no siano a disegni, ma di un solo colore, preferibilmente chiaro e non scuro. Allo stesso modo è fondamentale avere una buona illuminazione lungo tutta l’estensione della scala, dalla base alla sommità.

 

Conclusioni

Le persone con bassa visione hanno un residuo visivo che può essere potenziato con l’utilizzo appropriato dell’illuminazione, del colore e del contrasto nella loro abitazione.
Per quanto riguarda i vantaggi delle diverse soluzioni di illuminazione nella visione da vicino è molto più utile sperimentarli direttamente che commentarli.
Di solito i consigli elencati riguardo al cambiamento di alcuni particolari decorativi, di arredamento, della cucina, degli utensili di uso quotidiano, ecc., sono molto ben accetti sia da parte dei diretti interessati sia da parte dei loro familiari o conviventi.

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